FARMACISTI – GROSSISTI

Con un  parere reso ad una ASL lombarda lo scorso 2 ottobre, il Ministero della Salute sta generando lo scompiglio generale nella categoria dei “farmacisti – grossisti”.

Prima di soffermarci sul contenuto di questo parere facciamo un passo indietro e proviamo a ricostruire il contesto normativo in cui il suddetto parere si è andato ad inserire.

Fra le misure comprese nella “lenzuolata” di liberalizzazioni varate dal ministro Bersani nel 2006, vi è quella che consente ai farmacisti di conseguire l’autorizzazione ad effettuare (oltre all’attività di vendita dei medicinali al pubblico) l’attività di dispensazione dei medicinali all’ingrosso. Questa misura liberalizzatrice è stata attuata: da un lato, abrogando la norma del Testo Unico del farmaco (precisamente l’art. 100 comma 2 del d.lgs. 219/2006) che sanciva l’incompatibilità fra l’attività di farmacista e quella di grossista; e, dall’altro lato, introducendo (sempre all’art. 100 del citato d.lgs. 219/2006) l’espressa previsione per cui “I farmacisti … possono svolgere attività di distribuzione all’ingrosso dei medicinali”. Tutto ciò fermo restando che le due attività, quella di farmacista e quella di grossista, avrebbero dovuto restare distinte tra loro, senza commistioni. Tale indicazione – non espressa in modo esplicito nelle norme di legge – si ricava dall’art. 104 del Testo Unico del farmaco, secondo il quale il titolare dell’autorizzazione alla distribuzione all’ingrosso è tenuto ad acquistare i medicinali unicamente da soggetti che possiedono essi stessi l’autorizzazione alla distribuzione all’ingrosso. Il che – quanto meno secondo gli intendimenti del legislatore – equivarrebbe a dire che il grossista deve necessariamente approvvigionarsi da un altro grossista; e, quando si rifornisce da un farmacista-grossista, si rivolge a questo nella sua qualità di grossista, e non già nella sua qualità di farmacista (essendo i farmacisti tenuti – in quanto tali – a dispensare i medicinali esclusivamente al pubblico, e non anche ai grossisti).

Certo le norme avrebbero potuto essere più esplicite nel delineare questo regime (vale a dire l’obbligo per i grossisti di rifornirsi solo da altri grossisti ed il correlativo divieto per le farmacie di vendere medicinali ai grossisti). Tale auspicata chiarezza legislativa tuttavia non si è avuta.

Nel quadro normativo (non nitido) appena prospettato, molti farmacisti hanno chiesto e ottenuto l’autorizzazione alla vendita all’ingrosso dei medicinali. E, sino ad oggi, alcuni di questi “farmacisti – grossisti” hanno svolto tale doppia funzione senza tenere distinte le due attività (e vendendo quindi i medicinali all’ingrosso in qualità di farmacisti, anziché in qualità di grossisti). Appunto, sino ad oggi. Cioè sino a quando il Ministero della Salute, con il parere del 2 ottobre da cui siamo partiti, ha espressamente affermato che “I medicinali acquistati dalla farmacia … non possono che essere venduti al pubblico (…). La farmacia in quanto tale è deputata all’erogazione dell’assistenza farmaceutica e non può svolgere attività di distribuzione all’ingrosso di medicinali, anche se il suo titolare possiede l’autorizzazione all’esercizio di detta attività ”. Da qui, appunto, lo scompiglio di quei “farmacisti – grossisti” che sinora hanno svolto questa doppia attività in maniera commista e che adesso – nel timore di incorrere in sanzioni – si stanno affannando a comunicare al Ministero di aver cessato l’attività di vendita all’ingrosso.

E’ bene peraltro evidenziare che il parere ministeriale del 2 ottobre non afferma alcun principio innovativo, ma si limita a ribadire il concetto (già presente, pur in maniera implicita, nel Testo Unico del farmaco) per cui l’attività di farmacista e quella di grossista debbono essere esercitate senza indebite commistioni fra di esse: il farmacista-grossista può ben vendere i medicinali all’ingrosso, purchè lo faccia (non già in qualità di farmacista, bensì) in qualità di grossista (dotato di un proprio autonomo magazzino, di un distinto codice identificativo, ecc.).

Detto ciò, resta il fatto che – nel contesto normativo confuso di cui si è detto sopra – un intervento chiarificatore come quello in esame non avrebbe forse dovuto assumere le vesti di un semplice parere ministeriale, che non ha forza di legge e non garantisce perciò né che il principio da esso affermato venga applicato, né che ne venga fatta uniforme applicazione sul territorio nazionale. Se davvero vi è l’esigenza di sancire una volta per tutte il divieto per i “farmacisti-grossisti” di effettuare indebite commistioni nell’esercizio di queste due attività, allora è il caso che sia il legislatore ad occuparsene. Magari intervenendo sul Testo Unico dei medicinali in maniera netta ed esplicita, in modo da fugare ogni possibile dubbio, da evitare abusi e da non contribuire ad incrementare il contenzioso.

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