LA PROMOZIONE PUBBLICITARIA E LA COMMISTIONE CON LE ALTRE ATTIVITÀ A CARATTERE SANITARIO

Dell’attività di promozione commerciale svolta dai farmacisti con riferimento ai loro esercizi (farmacie e parafarmacie) abbiamo in parte già parlato. E abbiamo già concluso nel senso che questo tipo di pubblicità deve essere trasparente e non può (e non deve) essere finalizzata a promuovere presso i cittadini il bisogno di medicinali.
Fermo ciò in linea generale, da un punto di vista più concreto la pubblicità delle farmacie e delle parafarmacie può assumere diverse forme consentite e deontologicamente non censurabili. Occorre in proposito riferirsi al Regolamento sulla pubblicità delle farmacie, approvato dal Consiglio Nazionale il 2 febbraio 1996. A norma dell’art. 3 di questo Regolamento gli annunci informativi possono assumere le forme delle insegne situate in corrispondenza degli esercizi farmaceutici, oltre che dei cartelli indicatori (nel rispetto delle disposizioni dettate da ciascun Comune in materia di insegne pubblicitarie), nonché dei trafiletti nelle guide sanitarie e negli elenchi telefonici. Tutto ciò purché l’informazione pubblicitaria sia limitata alla denominazione dell’esercizio e ai riferimenti di ubicazione e di contatto dell’esercizio stesso.
Quello che invece non è assolutamente ammesso è promuovere l’attività dell’esercizio farmaceutico sfruttando la commistione con altre attività sanitarie, esponendo ad esempio comunicazioni pubblicitarie di farmacie presso studi ed ambulatori medici. Si tratta infatti di una condotta vietata sia dal codice deontologico (art. 20), sia dal citato Regolamento sulla pubblicità delle farmacie (art. 5). La ragione di tale divieto sta – tra l’altro – proprio nel principio che abbiamo citato in apertura: la pubblicità effettuata dalle farmacie e dalle parafarmacie non può mai essere finalizzata a stimolare presso i cittadini l’esigenza di ricorrere al medicinale. Ed è ovvio che l’informazione pubblicitaria relativa ad una farmacia effettuata presso uno studio medico abbia l’effetto di legittimare ed incentivare il ricorso al medicinale, nella misura in cui l’informazione medesima – proprio perché trasmessa all’interno della “struttura operativa” di un sanitario – viene percepita come un consiglio formulato dal medico al paziente.
Senza contare che la commistione tra l’attività del farmacista e le altre attività sanitarie comporta, sotto questo profilo, un altro pericolo: la creazione di meccanismi viziosi ed illeciti, in cui ciascuno dei professionisti coinvolti (farmacisti, medici, veterinari, ecc.) ha un proprio interesse personale a farsi “sponsor” – in condizioni di reciprocità – degli altri professionisti facenti parte del meccanismo. Condotta, anche questa, censurabile dal punto di vista deontologico (a norma dell’art. 14 del Codice) e suscettibile, al pari di quella avente per oggetto la promozione pubblicitaria in forme non consentite, di chiamare in causa il potere di vigilanza e disciplinare dei Consigli dell’Ordine di appartenenza dei farmacisti trasgressori.

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